L’anno scorso, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, l’Unione Europea ha speso per importazioni più di quanto abbia incassato per esportazioni.
Il motivo è evidente: con l’istaurazione della nuova cortina di ferro il nostro continente non può più acquistare a buon prezzo materie prime e semilavorati dall’Asia, trasformandoli in prodotti finiti che ne moltiplicano il valore.
L’Italia, in particolare, nel 2021 aveva importato da Cina e Russia beni per circa 55 miliardi di euro, molti dei quali (prodotti chimici di base, fertilizzanti, metalli, petrolio, gas, filati e tessuti) sono serviti per produrre i macchinari per l’industria, gli autoveicoli, l’agroalimentare, le ceramiche, le manifattuere e tutti gli altri prodotti che tenevano in piedi la bilancia commerciale del nostro paese e che da sempre ci rendono celebri nel mondo.
Da quando il cordone ombelicale tra Europa ed Asia è stato troncato, l’Italia è passata da un saldo commerciale positivo di 40 miliardi (2021) ad un deficit di 31 miliardi (2022): la nostra bilancia commerciale si è invertita e, dallo scorso anno, la “famiglia Italia” ha iniziato a spendere molto più di ciò che incassa.
Anche in questo caso il motivo è chiaro: non siamo più liberi di importare i beni che occorrono alla nostra produzione da chi ne ha sovrabbondanza (ed ha quindi convenienza a venderceli a buon prezzo) ma siamo costretti ad acquistarli altrove in misura insufficiente e a prezzi più cari.
Non è certo un caso se il nostro import dagli USA è cresciuto del 60% nell’ultimo anno.
Questi numeri, a mio parere, spiegano in maniera lampante i motivi della guerra in corso: dopo aver lanciato la sfida della globalizzazione, in un trentennio le potenze atlantiche si sono accorte che la reciproca convenienza di Europa ed Asia stava incoronando altre aree del mondo e che neppure il protezionismo sarebbe bastato a conservare il proprio dominio; ma le potenze egemoni dell’occidente non tollerano di perdere con le loro stesse regole, quelle del libero mercato, ed hanno quindi deciso di barare.
Mi chiedo quanto ancora ci vorrà perchè il ceto produttivo italiano ed europeo comprenda che non ci conviene stare dalla parte dei bari.